venerdì 18 luglio 2014

Tfa dimostrazione del fallimento della pubblica istruzione, avanti i disonesti. Angela Lonardo comparsa di una farsa

CASERTA - Compito del giornalista è raccontare ciò che vede o sente, chiaramente dopo averne provato l’attendibilità. Mai come in questo caso vi racconterò ciò che ho visto, dal momento che vi riporterò un'esperienza vissuta in primissima persona, con la promessa di essere oggettiva e imparziale nell'esposizione di fatti e considerazioni. Dal 14 al 17 luglio 2014 sono stata una dei 150mila partecipanti (per 29mila posti nelle varie regioni) alle prove preselettive del Tfa (Tirocinio formativo attivo). Per chi non lo sapesse si tratta dell’unica strada possibile per l’abilitazione dei docenti a partire dal 2012. Tre giorni diversi, tre scuole differenti per altrettante classi di insegnamenti. Unica, invece, la modalità d'esame: un test con sessanta domande a risposta multipla in due ore di tempo. Premessa importante: questo articolo è stato scritto senza sapere gli esiti delle mie prove. Dunque, esso non scaturisce affatto - come qualcuno potrebbe pensare - dalla rabbia di non avercela fatta. Al di là di qualsiasi risultato, quello che voglio testimoniare è un sistema che non va, che più che fare acqua da tutte le parti si può dire completamente affondato. Quello che mi muove a scrivere, quindi, non è frustrazione o delusione personale, ma sono amare constatazioni su come il nostro Paese sia sempre più abile, piuttosto che a trovare qualche modo per dare lavoro a chi ha passato anni sui libri, a creare stratagemmi per impedire che ciò avvenga. Credo fermamente che il Tfa sia la dimostrazione più evidente del fallimento della nostra pubblica istruzione. La maniera in cui sono state strutturate le prove, i contenuti, lo svolgimento, i costi: sarebbe da discutere e da rivedere davvero tutto. Per brevità mi concentrerò sui due punti che, a mio avviso, meritano attenzione. 

Punto primo: le domande del quiz preselettivo. 
Come accennavo, le domande sono 60. Dieci di queste sono relative a un testo del quale se ne richiede la comprensione. Le altre 50, invece, riguardano, le materie che si dovranno insegnare. Detta così non c'è nulla di strano: è chiaro che un aspirante professore di italiano, storia, latino o greco debba conoscere la sua disciplina. Il problema è che ai candidati del Tfa non si chiede la conoscenza della propria disciplina, ma tutto lo scibile. Per prepararsi al quizzone non esiste nessun programma a cui fare riferimento, si suppone pertanto che si debba avere una preparazione assoluta. Se, ad esempio, si vuole insegnare italiano, si dovrebbero sapere tutte le opere letterarie scritte da quando è nata la letteratura ad oggi (dai versi o passi a memoria alla data di pubblicazione fino alle trame nel dettaglio ed ai personaggi anche secondari di opere minori). Insomma, il candidato deve essere un'enciclopedia vivente. E' bene sottolineare che la maggior parte delle domande riguardano argomenti che non si toccano minimante né alle scuole superiori né all'università. Ed è altrettanto opportuno evidenziare che sia professori di liceo sia docenti universitari non saprebbero rispondere alle domande poste agli aspiranti insegnanti.

Punto secondo: sorveglianza e telefonini.
In un concorso pubblico è noto che debbano esserci equità e imparzialità, tutti dovrebbero essere messi nelle stesse condizioni. Ma per la prima prova selettiva del Tfa così non è stato. Se molti hanno copiato da tablet e cellulari, ad altri nel proprio banchetto non era concesso quasi di alzare la testa dal foglio. Insomma, se qualcuno non aveva solo che da appellarsi a qualche santo per sapere la risposta esatta, qualcun altro poteva contare sull'amico Google. Logicamente, si possono trarre presto le conclusioni sulle conseguenze di questa disparità di atteggiamento da parte di chi era preposto alla sorveglianza: in alcuni casi ad avere la meglio non saranno i più meritevoli ma, a seconda di come la si voglia pensare, i più fortunati o i più disonesti. 
Per chi non sapesse la procedura un piccolo ragguaglio su come funziona: chi supera il quiz non ottiene nulla, solo l'accesso alla seconda prova, ancora una volta scritta, e quindi con possibilità di scopiazzamenti. Chi supera la seconda ha poi diritto di partecipare alla terza, questa volta orale. E chi supera tutte e tre le prove non è detto possa esultare: alla fine si somma il punteggio ottenuto, e visto che i posti a disposizione sono pochi, solo chi ha il punteggio più alto passa. La cosa più sconcertante è che questa estenuante trafila non serve ad avere un lavoro, ma solamente la prospettiva un po' più concreta di esso. I fortunati ammessi al Tfa dovranno sborsare tra i 2.500 ed i 3mila euro, solo per vedersi inseriti in un'altra graduatoria, quella degli abilitati. Chiaramente sempre precari. Il vantaggio in più è che loro, qualora dovesse esserci un concorso, potranno partecipare. Dunque sarà poi un altro concorso a fare un'ulteriore scrematura. La sensazione è che il Tfa sia solo un modo per fare cassa, (per la sola partecipazione bisogna pagare dai 50 ai 150 euro), e come esso è stato concepito sbarri la strada a molte persone valide. Io, in questi tre giorni, più che una candidata mi sono sentita come la comparsa di una grande farsa. Percorso di studi ineccepibili, amore per ciò che si è studiato, capacità e conoscenze (non nozioni), non contano più in questo Paese che non dà più opportunità vere a chi ci rimane. I miei complimenti a chi ce la farà con le proprie forze. Mentre ai colleghi onesti che non ce la faranno, mi sento di dire che a non avercela fatta è la scuola italiana, che esattamente come il Paese, è venuta a mancare di meritocrazia e ad abbondare di furbetti e persone che sapendo di non poter contare su se stessi cercano sotterfugi. Se prima erano solo le classiche raccomandazioni, oggi vi si aggiungono gli espedienti tecnologici. Peccato che segnalazioni di irregolarità, denunce, contestazioni, e ancora più in generale contrarietà su un intero sistema che dovrebbe essere rivisto, non tocchino minimante il Miur. Ma non c'è da stupirsi se nella democratica Italia, ancora una volta, non si ha voce in capitolo. Bisogna solamente pagare, partecipare e sperare che vada bene (oltre che le cose cambino, ma questa è una speranza vana).

di Angela Lonardo