sabato 19 aprile 2014

Retrogusto metallico

E quando mi viene l'ispirazione ecco che mi diletto con la scrittura.
Un mio piccolo racconto che prende spunto proprio del titolo del blog.
Buona lettura! ^__^


                                                                       

                                                                       Stavo dietro a quel tizio da tutta la sera.
Un individuo normale agli occhi degli altri, ma avevo capito alla prima occhiata che non era così. Possedevo una sorta di sesto senso per certe cose.
Mi guardai allo specchio.
Quella sera avevo indossato il solito vestito, quello che Rebecca, la mia vicina, amava tanto definire il vestito “ d’acchiappo ”. La vertiginosa minigonna nera era seguita da una maglia rossa con una profonda scollatura sulla schiena. Insomma, non lasciava nulla all’immaginazione. Era quella l’ultima immagine che vide l’uomo, la sera prima, una volta accasciatosi senza vita sull’asfalto umido.
La caccia, anche quella sera, come sempre, era iniziata al bar in centro.
Una volta preso posto su uno degli sgabelli vicino al bancone e ordinata una birra, avevo iniziato a darmi un’occhiata in giro. C’era il tipo sulla destra, jeans e camicia bianca; chiacchierava col barman e il suo viso color fragola faceva presupporre che fosse già alticcio.
No, non è lui.Continuai a guardarmi intorno.
Il mio sguardo si posò su due tipi che giocavano a biliardo sulla sinistra, un attimo dopo sulla pensierosa ragazza , davanti al jukebox. Il cigolio della porta d’ingresso, d’improvviso, mi riscosse dalla perlustrazione. Un uomo entrò nel locale, si guardò con aria curiosa intorno e con fare sicuro, si diresse verso un tavolino, poco più in là. Un odore di terra e muschio misto a sangue mi arrivò alle narici, anche da quella distanza. L’olfatto non mi aveva mai tradita.
Non mi ingannò nemmeno in quegli anni in cui mi trovai sballottata da una famiglia all’altra, anzi fu questa mia stranezza o mia mostruosità, come solevano ripetermi i miei genitori adottivi, che non mi permise di essere accettata.
Trovato!Non ci mise molto a finire la birra e a uscire dal bar. Io gli fui subito dietro, mi sistemai in macchina, e cercai di farmi notare il meno possibile. Passarono una ventina di minuti e finalmente lui s’inserì in un vicolo, accostò e scese dalla vettura.
E adesso?“ Ehi dolcezza!Potevi dirlo che mi desideravi fin da quando mi hai visto al bar?” disse, allargando le braccia.
Bene. Facciamola finita e in fretta.Scesi dall’auto e mi avvicinai a lui, appoggiato al bagagliaio, qualche metro più avanti.
“ Mi hai beccato!Non ho potuto fare a meno di seguirti.”
Lui sogghignò, soddisfatto. Ormai eravamo vicini, era questione di centimetri. Mi passò un braccio dietro la schiena e, così, mi ritrovai chiusa nel suo abbraccio, senza via di fuga.
“ Sai di buono” disse, con la bocca vicino al mio orecchio.
“ Anche tu”
Un verso, simile a quello di una belva soddisfatta alla vista della preda, rimbombò nella viuzza. Fu un attimo. I suoi denti, come lame affilate, mi incisero il collo e penetrano a fondo. Un dolore intenso mi fece, per un secondo, un solo attimo, perdere quasi i sensi. Non cercai di ribellarmi né di spingerlo via, era proprio quello ciò che aspettavo, ciò che volevo.
La sensazione di malessere fu ben presto sostituita da un senso di appagamento, di eccitazione. E’ quello che, solitamente, provano le vittime durante l’aggressione da parte di un vampiro, anche se non tutte sono, poi, in grado di raccontare l’esperienza.
La maggior parte muore e la rimanente frazione non ricorda nulla dell’episodio. Una gran fortuna per loro. Io, invece, ricordavo tutte le aggressioni.
Il potere persuasivo che alcuni vampiri, soprattutto quelli più antichi, possiedono non aveva alcun effetto su di me.
Ero diversa, lo ero sempre stata.
Lo avevo intuito, sin da piccola, quando gli altri bambini dell’Istituto mi tenevano in disparte.
Lo avevo compreso, ancora di più, quando ogni famiglia adottiva mi scaricava, e mi ritrovavo nuovamente punto d’accapo a sognare una vita migliore.
Il tizio, bruscamente, iniziò a dimenarsi e, di scatto, si staccò dal collo grondante di sangue. Il suo viso, alla luce dell’unico lampione presente, era cianotico. La pelle sembrava iniziare quasi ad accartocciarsi su se stessa.
“ Cosa … Cosa mi sta succedendo? ”
“ Ora tocca a me. ”, dissi.
Non persi tempo, gli reclinai la testa di lato e, con furia, gli affondai i denti nella carne, facendomi strada verso la giugulare. Ero assetata.
Non mi fermai nemmeno quando lui cercò di allontanarmi, senza alcun risultato. Ben presto la cosa divenne piacevole anche per lui: i suoi muscoli si rilassarono e il suo cuore iniziò a cedere. Uno, due, tre. Il cuore smise di battere. Lasciai la presa e cadde a terra come un sacco di patate.
Era finita. I suoi occhi vitrei fissavano un punto dietro le mie spalle. Silenzio. L’unico rumore presente era lento e ripetitivo e, come le lancette di un orologio, scandiva il tempo.
Mi ricordò il lavandino sempre gocciolante del bagno dell’Istituto. Quel periodo della mia vita in cui un raggio di luce era penetrato attraverso la finestra, e aveva portato un po’ di calore nelle mie giornate tutte uguali.
Quella luce si chiamava Jack. Era il mio unico amico. Sembrava passata una vita.
Presa da questi pensieri, mi resi conto troppo tardi di un movimento alle mie spalle.
Il buio mi avvolse.

2 commenti:

  1. Risposte
    1. Quando mi tornerà l'ispirazione, ogni tanto la perdo per strada. Sapessi quanti racconti ho, ma che ancora non ho concluso. Ad un certo punto mi si spegne la famosa lampadina :-)

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